Strage sui ghiacciai: solo colpa del clima?

Dal 2019 si sapeva che la Marmolada aveva perso il 30 per cento del suo territorio ghiacciato. Ed erano spuntate guglie di roccia che anticipano possibili distacchi del ghiacciaio. Eppure nulla è cambiato

strage sui ghiacciai

La strage della Marmolada è stata valutata sulla base di due elementi: emergenza climatica e fatalità; un effetto della crisi ambientale, della natura che presenta il conto dei nostri colpevoli ritardi, un  evento imprevedibile, di quelli che accadono e non possono essere anticipati da alcuna tecnologia.

STRAGE SUI GHIACCIAI

Resta sullo sfondo, con un doveroso pudore, e se volete anche una buona dose di rimozione,  un altro fattore:  la colpa umana. I giornali, le televisioni, gli esperti, ne parlano in modo indiretto, dando alcune risposte, non sempre chiarificatrici, alla domanda fondamentale: “Si poteva evitare”? Di fronte a dei cadaveri, a delle vite che si sono spente in modo atroce, a bambini rimasti orfani, a famiglie spezzate, a coppie felici il cui amore si è dissolto in pochi secondi, di fronte a una tragedia di questa portata, verrebbe voglia di scegliere la strada del silenzio. Un silenzio assoluto, tombale. Ma tutte le tragedie che si traducono nello spreco di vite umane hanno un dopo, che non si limita al funerale, al saluto delle vittime e al dolore di chi non potrà più vederle se non in un cimitero. E il dopo è la lezione dell’esperienza , per fare il modo che l’accaduto, il dramma, non si ripeta. Tanto più che i fattori di rischio, in questo caso, non potranno che aumentare.

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GHIACCIAIO DELLA MARMOLADA

Restiamo stretti alla Marmolada e alla sua situazione. Non allarghiamo l’orizzonte ad altri parte del mondo,  allo scioglimento del ghiaccio in Groenlandia, sulle cime dell’Everest, e ovunque la crisi climatica sta seminando il suo mutamento irreversibile. Restiamo al luogo della tragedia, perché di questa dobbiamo parlare, ancorati alla domanda fatale (“Si poteva evitare”?) e partendo dai dati scientifici, e non da singole opinioni, di cui disponiamo. Bene: uno studio che risale al 2019, che ha visto la partecipazione di scienziati italiani (delle università di Genova e Trieste e del Cnr) e stranieri, aveva fotografato la situazione in modo molto chiaro. La Marmolada ha perso negli ultimi trent’anni  la bellezza del 30 per cento del suo volume di ghiacciaio, passando da una superficie di 25,2 milioni a una di 17,5 milioni. Ed eravamo soltanto nel 2019!

MARMOLADA PRIMA E DOPO

Oltre i numeri, basta dare un occhio alle immagini per rendersi conto che la Marmolada non è più la stessa da molti anni, troppi per non tenerne conto.  Sono spuntate, e lo studio del 2019 lo documenta in modo inequivocabile, guglie di roccia che corrispondono a zone calde di rottura, che possono trasformarsi in catastrofiche valanghe da un momento all’altro. Questa montagna non ha nulla a che vedere con quella dove, soltanto negli anni Sessanta, si aprì una scuola di sci estivo, con tanto di sede, maestri e impianti di risalita. E se le cose stanno in questi termini, forse qualche limitazione andava presa, sia per gli esperti sia per i vacanzieri, nell’accesso alla Marmolada. Non tutto poteva e doveva restare come prima.

MAURO CORONA E LA MARMOLADA

Mauro Corona, che certo di montagna ne capisce più di noi, ha ricordato l’aspetto «imprevedibile»  di quanto è accaduto sulla Marmolada, ma poi ha aggiunto due cose importanti. La prima: Abbiamo fatto le cicale e la terra ci presenta il conto. Giusto, perfino ovvio. Seconda osservazione:  bisogna essere prudenti e rinunciare ad alcuni tracciati. Corona cita il caso dell’Adamello, a cavallo tra Lombardia e Trentino Alto Adige, il più vasto ghiacciaio delle Alpi italiane, dove lui non andrebbe mai più. Perché, in conseguenza dell’emergenza climatica «fa troppo caldo e potrebbe crollare». Punto.

COME RENDERE SICURA LA MONTAGNA 

Corona, da persona competente dell’argomento, è ben informato sulle montagne più a rischio, dove lui non rimetterebbe mai piede.  Ma perché l’accesso a queste informazioni non deve essere a portata di tutti? Qualcuno doveva informare gli appassionati del turismo alpino, a qualsiasi livello, dei rischi che correvano scalando la Marmolada. E questo tipo di informazioni andrebbero fatte circolare in modo capillare: dalle scuole agli uffici turistici, dagli alberghi ai centri alpini. Le persone devono essere aggiornate sulla situazione che tende continuamente a peggiorare. E in alcuni casi, scelta che sicuramente non piacerà a Corona, ci sono percorsi che vanno vietati. Per motivi di sicurezza.

LA MONTAGNA SI RISPETTA

La montagna, tanto più ferita e modificata nel suo DNA dall’incuria e dalla violenza dell’uomo, va comunque rispettata. Come il mare. E nel  rispetto rientra il ruolo del pubblico, dello Stato e delle sue postazioni, e del privato, di ciascuno di noi. Non è possibile che in un Paese civile, assediato dal dissesto idrogeologico, un’altra componente della tragedia dei ghiacciai, la Marmolada non fosse, già da alcuni anni, almeno  dopo lo studio del 2019, sotto continuo monitoraggio. Una cosa simile a ciò che avviene,  attraverso sofisticati impianti e postazioni marine, nelle isole Eolie, in Sicilia, dove il rischio del maremoto è molto alto, e la Protezione civile è intervenuta con un apparato di prevenzione di assoluta eccellenza. Quanto a noi, ricordiamoci che il rispetto della montagna si traduce anche nella presa d’atto dei suoi malanni e di un doveroso allontanamento, che possiamo considerare un atto di reciproca protezione e d’amore allo stesso tempo. A meno che non vogliamo lavarci la coscienza e arrenderci all’ineluttabile, dietro lo scudo di un fatto vero, la crisi climatica, che però non spiega tutto.

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