Scuola italiana: lo strapotere dei sindacati

Decidono tutto: stipendi, carriere, ma anche orari di lavoro e programmi di studio. Intanto gli insegnanti guadagnano la metà dei colleghi europei, e l'assenteismo è record: 48 giorni l’anno.

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STRAPOTERE DEI SINDACATI –

La democristiana Franca Falcucci, ministro della Pubblica Istruzione negli anni Ottanta, lo diceva con un certa chiarezza: “Senza il permesso del sindacato, noi nelle scuole non possiamo neanche spostare un banco….“. E da allora la situazione non è cambiata molto, e anzi il perimetro della formazione sembra sfuggire alla crisi generale della rappresentanza degli italiani. Se infatti il 67 per cento dei cittadini confessa di non avere più fiducia nel sindacato, questa percentuale si dimezza proprio nella scuola. Segno di un potere ancora riconosciuto e inossidabile.

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FORZA DEL SINDACATO –

La prima forza del sindacato è nei numeri. Con un bacino di 600mila insegnanti di ruolo, 89mila di sostegno, e 240mila unità nell’area non docente, la scuola è una vera prateria per conquistare consensi per le ormai anemiche associazioni confederali. E non solo. La scuola è uscita indenne anche dalle crisi del sindacato autonomo, e ne rappresenta oggi la più importante roccaforte nel pubblico impiego. Risultato: quando parliamo di sindacato della scuola, dobbiamo sempre sommare alla forza di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, anche gli iscritti a organizzazioni autonome come lo Snals o l’Unicobas, oppure a potenti sigle di specifiche categorie, come l’Associazione nazionale dei presidi. Un vero e proprio esercito. Con un rapporto di primazia inverso rispetto alla politica, in quanto i numeri mostrano chiaramente i rapporti di forza tra sindacati e partiti collaterali e spiegano più di ogni analisi scientifica la difficoltà di qualsiasi governo di fare le riforme nel settore. Prendiamo il caso della Cgil che ha unificato sotto la sigla Flc (Federazione dei lavoratori della conoscenza) i suoi iscritti nella scuola, nell’università e nella ricerca: siamo oltre le 200mila unità. Se sovrapponiamo questo dato con le regioni dove la sinistra, e in particolare il Pci-Pds-Pd, governa da sempre, scopriamo che, per esempio, in Emilia Romagna gli iscritti alla Flc sono 22mila, in Toscana 18mila e in Campania 12.500. Voti che pesano e danno una forza contrattuale che travalica nettamente la semplice questione retribuitiva. Ecco perché, per esempio, il contratto di categoria nella scuola risulta sempre molto generoso nelle concessioni della controparte governativa: le assemblee sindacali si possono fare sempre nell’orario delle lezioni e gli insegnanti che vi partecipano non perdono mai un euro nella busta paga.

POTERE DEL SINDACATO –

Il potere del sindacato è scolpito perfino negli organigrammi ministeriali, al vertice della catena di comando. Il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione, che risale nientemeno che al Regno di Sardegna, non è solo un organo consultivo, come previsto dalla legge, ma è la vera stanza dei bottoni nel campo della formazione pre-universitaria. E qui i membri del vertici sono nominati alla pari, 15 a 15, dal sindacato e dal ministero, e se il presidente è il ministro di turno, il vice presidente è un rappresentante del sindacato, con una rotazione tra confederali e autonomi. Una vera alchimia del potere che non non consente strappi, anche perché se e quando avvengono, molto raramente, il sindacato passa subito alle aule giudiziarie. Così qualche giorno fa il Tar del Lazio, su un ricorso proprio dello Snals, ha cestinato un banale cambiamento di orario dell’insegnamento negli istituti tecnici e professionali deciso dal Miur e non concordato con tutte le organizzazioni. Dunque, come diceva la Falcucci, senza il sì del sindacato non si possono modificare di una virgola neanche gli orari di lavoro nelle scuole.

SINDACATI DELLA SCUOLA –

A fronte però di tanta forza, bisogna riconoscere che nel corso degli anni i risultati portati a casa dal sindacato nella scuola non sono tutti esaltanti. Le politiche retributive del settore, ispirate al concetto “tutto a tutti”, si sono sempre più appiattite verso il basso, e oggi il docente italiano è il peggio pagato in Europa, con stipendi che possono arrivare alla metà dell’equivalente collega tedesco o francese. D’altra parte, in tempi di cordoni stretti della finanza pubblica, l’unico percorso possibile per aumentare gli stipendi è quello relativo alla parte variabile, cioè riconosciuta attraverso la valutazione del merito dei professori. Due parole, valutazione e merito, che per il sindacato della scuola sono autentici tabù, perché introdurli, a dosi analoghe rispetto alle altre nazioni europee, significherebbe semplicemente mettere in crisi il castello del potere delle organizzazioni confederali ed autonome. E a parte gli stipendi bassi, il sindacato ha di fatto alzato le mani sul reclutamento delle nuove leve, impedendo perfino  un normale turn over nella scuola, con il risultato che oggi il 40 per cento degli insegnanti italiani ha un’età superiore ai 54 anni. Vecchi, ma protetti, e giovani fuori la porta: sembra un paradigma del Paese più che della sola scuola.

In compenso, grazie al suo potere il sindacato è riuscito a fare della scuola una sorta di zona franca non solo nella valutazione del merito, e quindi di una più corretta dinamica retribuitiva, ma in generale nel funzionamento dell’intera macchina. È il sindacato che copre, contratta e consente un incredibile viavai degli insegnanti: il 25 per cento cambia scuola ogni anno, contribuendo al caos ed  a corsi spesso irregolari. Ancora: l’assenteismo nella scuola è al terzo posto nella classifica del pubblico impiego, dopo i vigili urbani e i dipendenti delle agenzie fiscali, con una media di 48 giorni l’anno. E il Miur ha dimostrato la stretta correlazione tra l’assenteismo degli insegnanti e la dispersione scolastica: ma anche questo è un argomento sul quale non c’è margine di trattativa. Specie in una scuola dove è chiaro chi e come comanda.

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