SUTERA INTEGRAZIONE IMMIGRATI
La storia l’abbiamo scoperta grazie a un inviato del Time. Siamo a Sutera, nel cuore della Sicilia bella, antica, immobile. Ma irraggiungibile. Una Sicilia che si svuota, visto che qui negli anni Sessanta gli abitanti erano 5mila e oggi non sono più di 1.500. Cicli continui di immigrazione: prima per andare a lavorare nelle fabbriche del Nord, adesso anche solo per andare a studiare. Un destino comune a migliaia di giovani meridionali.
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COME FAR RINASCERE UN BORGO ABBANDONATO
Sutera stava scomparendo. Scuole chiuse per mancanza di alunni. Vita sociale azzerata. Solo vecchi e pensionati nelle strade. E invece è rinata, grazie agli immigrati che sono arrivati in modo massiccio. La prima volta dopo uno dei tanti sbarchi a Lampedusa (le prime 366 persone), e poi con una politica accorta di integrazione. Sono arrivati e lavorano: come assistenti e badanti nelle case, commessi nei negozi, lavoranti nei bar e nei locali pubblici del borgo.
L’arrivo degli immigrati è stato graduale, ma ha sempre tenuto conto di un’integrazione basata sulla condivisione di regole e valori (quindi, per esempio, massimo rispetto per le donne e nessuna discriminazione tra i sessi). E sulla conoscenza della lingua italiana, una condizione considerata essenziale.
ACCOGLIENZA MIGRANTI SUTERA
Che cosa insegna la storia di Sutera? In primo luogo che l’integrazione è più possibile e gestibile, se si riesce a fare con piccoli numeri, e attraverso i comuni. L’amministrazione comunale di Sutera, infatti, incassa ogni anno dal fondo speciale del Ministero degli Interni 263mila euro, che può impegnare proprio per favorire il processo di integrazione. Immaginate se si riuscisse a fare qualcosa del genere in buona parte degli 8mila comuni italiani: avremmo fatto un grande passo avanti sul versante immigrati. La seconda lezione riguarda il metodo: sì agli immigrati, ma con regole. A partire dall’insegnamento della lingua italiana.
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