Le proteste trasversali che stanno montando sulla riforma della giustizia dimostrano quanto in Italia sia difficile portare a termine anche il più condiviso dei cambiamenti. Nessuna persona di buon senso, nessun operatore del settore, magistrato o avvocato, ha mai negato la necessità di rivedere il nostro arcaico sistema circoscrizionale in materia di amministrazione della giustizia. Un punto su tutti, il taglio dei tribunali.
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Lo stesso Csm, in tempi non sospetti, ha approvato uno studio con il quale si dimostra l’inefficienza, e quindi l’inutilità, di molti piccoli tribunali italiani. Negli anni, è stata creata una giustizia di campanile, con la moltiplicazione di piccole sedi e sedi distaccate, e questo per assecondare qualche interesse locale o di singole corporazioni. Poi è arrivata la legge dell’ex ministro Paola Severino che ha tagliato alcuni piccoli e inefficienti tribunali e ha eliminato le sedi distaccate. Apriti cielo.
Gli avvocati non vogliono fare qualche chilometro in più per partecipare alle udienze, alcuni magistrati temono di perdere status e prestigio, i politici dei luoghi coinvolti dal provvedimento sono pronti a sostenere le ragioni di chi si sente “derubato” di una sede istituzionale.
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Inoltre, lo spostamento di magistrati e personale amministrativo non è semplice, tanto che il presidente del tribunale di Napoli ha dichiarato che serviranno almeno cinque anni per mettere a regime la nuova organizzazione. Cinque anni per una mini-riforma amministrativa rappresentano un tempo biblico, e poiché le proteste contro il provvedimento della Severino sono arrivate dopo un anno, è lecito nutrire un sospetto: probabilmente molti pensavano, o speravano, che questa riforma sarebbe finita all’italiana. Approvata, mai applicata e poi cancellata.
In commissione Giustizia alla Camera era pronta perfino una leggina bipartisan che di fatto cancellava con un colpo di spugna il provvedimento varato dal governo Monti, e soltanto grazie al deciso intervento del nuovo ministro Cancellieri, che intende muoversi in continuità con la Severino, ha sventato la controriforma già impacchettata.
Il cambiamento è sempre difficile. Specie quando sono in gioco interessi, spesso corporativi, e aspetti organizzativi in un Paese dove la macchina pubblica fa acqua da tutte le parti. Ma una cosa è certa: la giustizia civile in Italia è un fantasma, come è certificato da alcuni numeri.
I nostri processi durano in media una decina di anni, in un Paese molto litigioso, dove ogni anno 5 italiani su 100 passano alle carte bollate e così soltanto nelle regioni meridionali i tribunali sono ingolfati da un arretrato di 3,3 milioni di procedimenti pendenti.
In Germania un credito commerciale, grazie alla magistratura, si recupera in 100 giorni, in Italia non bastano quattro anni. Il prezzo di questa inefficienza lo pagano in cittadini, specie quelli che hanno subito un torto, e il sistema Paese con un costo, calcolato dall’ufficio studi di Confindustria, di 200 miliardi di euro. Sono cifre da brivido che dovrebbero spingere tutti ad un maggiore senso di responsabilità, senza il quale le riforme vengono evocate, ma puntualmente cestinate, anche quando sono diventate leggi dello Stato.
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