Alle 3.30 del 24 agosto del 2016 ad Amatrice il paese dormiva placido, pieno zeppo di abitanti e di turisti accorsi per la sagra degli spaghetti all’Amatriciana, specialità laziale conosciuta in tutto il mondo in programma tre giorni più tardi. Una notte estiva come tante, con la fiera da organizzare, gli stand da montare e il venticello fresco del nord del Lazio a rinfrescare la provincia rietina. Soltanto 6 minuti più tardi di quel bel paesino confinante con l’Umbria, le Marche e l’Abruzzo sarebbe stato spazzato via da una scossa di terremoto violentissima, di magnitudo 6.0, che ha completamente abbattuto i centri storici dei paesi in prossimità dell’epicentro, Amatrice in primis. Senza contare l’altissimo costo in vite umane, una ferita mai rimarginata della comunità e dell’Italia tutta.
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TERREMOTO AMATRICE OGGI
Quella tragica notte, a Stefania Capriotti, intrappolata sotto le macerie della sua casa crollata, scattarono una foto, straziante, diventata una delle foto simbolo della tragedia. La si vede sconvolta, con lo sguardo perso nel vuoto e nel dolore, mentre, avvolta in una coperta, cerca di rotolare via da una fuga di gas. Ha 25 fratture sul bacino, e ha cercato fino all’ultimo di chinarsi sulla madre per proteggerla. Quando la estraggono dalla polvere e dai calcinacci, è sotto shock: ha perso sia la mamma che la nipote di 13 anni, ma si accorge distintamente del fotografo che le sta scattando la foto che verrà ricordata come la Pietà di Amatrice, che varrà al fotografo Emiliano Ghigliotti molti riconoscimenti e persino una canzone di Branduardi. Diverrà il simbolo social di quella tragedia, farà il giro del mondo. Ma a Stefania, sul momento, quello scatto aveva dato fastidio, era sicuramente un momento inopportuno e durissimo, non certamente adatto per un servizio fotografico.
Pochi istanti dopo il click della macchinetta fotografica, l’ambulanza la porta via, e i medici riescono a evitare che resti paralizzata. Ci sono voluti 5 mesi di fisioterapia e un lungo percorso psicologico, lungo e difficile, per permetterle di tornare a camminare sulle sue gambe, in senso letterale e non.
Oggi Stefania ha 57 anni, ed è riuscita a trasformare quel dolore straziante nella voglia di fare del bene, di aiutare gli altri. Una medicina che lenisce, un minimo, le voragini aperte nella sua vita dal terremoto. Sopravvivendo ai suoi lutti, stringendosi intorno agli affetti che sono rimasti in vita come lei dopo quella maledetta notte: in casa erano in 6, compresi suo fratello, la moglie e le due figlie. Sono rimasti in 4, ognuno con il suo particolare modo di superare il trauma. La fede, l’altruismo, la rinascita a furia di guardare in faccia il dolore.
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FOTO SIMBOLO DEL TERREMOTO DI AMATRICE
Da tre anni, quindi, Stefania si è gettata a capofitto nel volontariato, soprattutto destinato ad altri terremotati o sopravvissuti ad eventi così tragici. Molti di loro avranno pensato che con la ricostruzione materiale del paese, iniziata molto a rilento e con mille intoppi, mai completamente decollata, anche le ferite del cuore si sarebbero rimarginate. Così non è, perché per ogni calcinaccio di una qualsiasi delle abitazioni crollate, c’è un ricordo, e l’aria luttuosa e triste è ancora pesante e presente.
Non c’è traccia, ormai, di quel rifugio estivo di Stefania e della sua famiglia, un ricordo dolce a cui si attacca per rinascere. C’è chi fa deflagrare il dolore, chi se ne immerge, chi non riesce a trasformarlo in energia, in vita, chi è egoista e tende a chiudersi a riccio per superarlo. E poi c’è chi, come Stefania Capriotti, ha lasciato che il dolore la segnasse al punto da voler rinascere, facendo dell’aiutare gli altri una nuova ragione di vita.
(Immagine in evidenza tratta dal Corriere. it / photo credits Corriere.it)
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