TRASPORTI PUBBLICI NAPOLI – Nell’universo del trasporto pubblico napoletano targato Eav (Circumvesuviana, Metrocampania e Sepsa), un regno di sprechi e di pessimi servizi, i sindacati sono in rivolta a difesa di quanto prevede un intramontabile Regio decreto del 1931. Cioè l’abbonamento gratis ai parenti dei dipendenti, con un concetto largo della famiglia che comprende figli, coniugi, nonni e nipoti. E con il risultato che su 2.300 persone in organico, altre 6mila, i componenti delle famiglie allargate, viaggiano gratis, a fronte di normali cittadini che pagano quella tessera da 300 a circa 1.400 euro l’anno.
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SPRECHI E INEFFICIENZE – I vertici dell’Eav si sono accorti con un certo ritardo, ma quando si tratta di privilegi spesso si deve risalire indietro nei secoli, dell’assurdità di questo benefit che oggi chiedono di eliminare o almeno di ridurre in modo significativo, anche perché la società nel frattempo ha numeri in bilancio da libri in tribunale. Apriti cielo: i sindacati fanno muro e l’abbonamento gratis per le famiglie dei dipendenti Eav, secondo il loro minaccioso punto di vista, deve restare come scolpito nel 1931, come se fosse un diritto acquisito e incancellabile, semmai da trasmettere per via ereditaria.
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La seconda storia avviene nel palcoscenico delle strade di Napoli dove i vigili urbani, provati dagli straordinari fatti in occasione di una domenica ecologica, hanno scritto all’amministrazione comunale, tramite i sindacati, per annunciare che non sono disposti a concedere il bis. Anche loro hanno famiglia, specie la domenica, e con il loro annuncio sorvolano sul piccolo particolare che il lavoro del vigile urbano, per sua natura, prevede un impegno professionale anche nei giorni festivi, quando la circolazione in città è perfino più caotica. Né i ribelli del traffico metropolitano si chiedono se, per puro caso, tra i 1.900 vigili urbani in organico a Napoli ce ne sia qualcuno che, pur essendo un padre di famiglia, abbia voglia e tempo di lavorare, una tantum, di domenica.
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IL RUOLO DEI SINDACATI PER EVITARE GLI SPRECHI – Due storie apparentemente diverse, ma in realtà identiche nel loro paradigma: il sindacato, afflitto dal virus dell’autismo, è diventato prigioniero della difesa sempre e comunque dello status quo, e ha smarrito la capacità di tracciare una linea di confine tra la difesa di un diritto e la copertura di un privilegio, ponendosi così di traverso a qualsiasi cambiamento necessario nell’interesse della collettività e non di singoli pezzi di categorie protette al di sopra del banale buon senso. Di fronte a questa realtà c’è una replica che ascoltiamo spesso dai dirigenti sindacali, e dice più o meno questo: siamo pronti a combattere gli abusi, quando ci sono, ma attenzione a non esagerare mettendo in discussione il nostro ruolo. E’ una linea di difesa che, sebbene comprensibile, non regge all’urto dei fatti che si moltiplicano, tutti nella stessa direzione. Una linea che viene tracciata sotto il peso di una doppia paura, sulla quale bisognerebbe invece ragionare in modo esplicito e coraggioso. Innanzitutto la preoccupazione di essere scavalcati, specie nell’area pubblica dove le sigle degli autonomi ricordano, per numero e conflitti, le tribù di un paese africano: e qui il vero, principale, deterrente sarebbe una legge compiuta e condivisa sulla rappresentanza sindacale, in modo da chiarire regole (poche e chiare) e numeri. In secondo luogo, la paura del cambiamento in quanto tale con un’ormai cronica incapacità di leggere quanto sia forte nel Paese l’ansia di una rinviata, da decenni, modernizzazione, e di quanto intanto la società da rappresentare sia cambiata. Lungo questo crinale il sindacato è condannato a scivolare nel buio della conservazione che poi coincide con la deriva dei mille corporativismi italiani. Ci riflettano Angeletti, Bonanni e Camusso , perché i sindacati di cui oggi sono leader nazionali, nella storia moderna hanno contribuito, in modo determinante, a cambiare l’Italia, a farla crescere, specie attraverso l’ascensore sociale oggi fermo, e non a bloccarla nella palude dell’immobilismo. E per questo non possono chiudere gli occhi, con reticenza, di fronte alle storie che abbiamo raccontato.
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