Non poteva essere più pasticciato, disordinato e caotico, il pacchetto di regole, una in contrasto con l’altra, per la circolazione degli italiani sui treni. Con uno spreco enorme che colpisce due volte i cittadini più deboli. Chi non ha alternative al viaggio già programmato e dovrà affrontare una nuova peripezia per ottenere almeno uno straccio di rimborso, chi si sposta su treni di fascia non lusso, quindi con minori alternative e maggiori disagi.
TRENI CANCELLATI CORONAVIRUS
Il primo pasticcio lo hanno fatto due ministri. Paola De Michelis (Infrastrutture) aveva dato il via libera al ritorno alla normalità, ripristinando la capienza piena dei vagoni. Ma senza avere parlato prima con il suo collega Roberto Speranza (Salute) che non aveva alcuna intenzione di farsi scavalcare, e dopo una bella litigata, è stato lui a ripristinare la distanza prevista dalle precedenti leggi anti Covid. Tanto per dare un’idea delle conseguenze di questa nuova decisione una sola società, Italo, ha dovuto cancellare convogli per un totale di 8mila persone. Rimaste a piedi in agosto.
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DISTANZIAMENTO SOCIALE TRENI CANCELLATI
E qui veniamo al secondo errore. Nel braccio di ferro con la collega, Speranza ha avuto partita vinta grazie al solito parere “tecnico” da parte del Cts (Comitato tecnico scientifico) che fornisce la sua consulenza per i provvedimenti necessari alla prevenzione contro il coronavirus. I tecnici hanno definito “preoccupante” la scelta di liberalizzare i posti sui treni. Un’opinione comprensibile, ma il governo, in anticipo, e senza fare zig zag con l’aggiunta di risse, avrebbe dovuto, prima di prendere una decisione, almeno consultare le amministrazioni regionali. Sono loro, le regioni, che hanno davvero il polso della situazione in tutto il Paese, e sono state loro sempre in prima linea in questa battaglia.
TRASPORTI PUBBLICI CORONAVIRUS
Avrebbe scoperto così che in alcune regioni, specie al Centro Sud, non ci sono più contagi e ricoverati. E perfino in una regione considerata tra quelle più a rischio, la Liguria, sono censiti venti ricoverati di media intensità di cura e zero persone in terapia intensiva. Per quale ragione al mondo in queste regioni bisogna dimezzare la circolazione ferroviaria creando così enormi disagi per i cittadini? La stretta non andava comunque discussa e condivisa tra il governo e le stesse regioni?
La conclusione è un’Italia ferroviaria lasciata nel caos. Con una parte importante delle regioni del Nord (Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia) che non accettano le imposizioni del ministro Speranza, ignorano completamente il loro ministro di riferimento, Francesco Boccia (Rapporti con le Regioni) e vanno avanti per la loro strada.
Con una bussola: nessun amministratore di queste regioni si sogna di negare l’esistenza di alcuni rischi, a qualsiasi livello, legati al Covid-19, ma tutti condividono il fatto che non esiste più un’emergenza sanitaria. Piuttosto esiste e andrà crescendo un’emergenza sociale ed economica. Il giudizio di questi governatori è supportato da pareri tecnici, altrettanto autorevoli rispetto a quelli del CTS, che inducono a proseguire sulla strada di un graduale ma forte ritorno alla normalità. D’altra parte tutti ci avevano avvisato: dobbiamo imparare a convivere con il virus. E fare confusione, con norme improvvisate e contraddittorie, è il modo peggiore per riuscirci.
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