TURISMO DI MASSA BARCELLONA
Barcellona, prima che di Madrid, è stufa del turismo di massa. Non passa giorno senza che nella città spagnola non ci sia qualche protesta contro l’invasione di persone che arrivano a «beneficio di chi ha messo in vendita la città». Cortei e marce di protesta, articoli di fuoco sui giornali, comitati di protesta sul web e una voce in sottofondo: meglio i rifugiati dei turisti. Il coro è potente, e in prima fila tra chi urla Basta c’è la sindaca Ada Colau, alleata di Sinistra Unita e di Podemos.
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PROBLEMA TURISMO BARCELLONA
Dove nasce tanto malcontento? Non abbiamo sempre letto che la Spagna è un modello per la valorizzazione del turismo? Il disagio popolare, molto profondo, nasce da uno spreco parallelo alla scarsa valorizzazione del turismo: la speculazione che ne stravolge la funzione. Barcellona scoppia, come tanti luoghi inghiottiti dal turismo di massa senza né regole né limiti (avete presente il caso Venezia? O l’isola di Capri?). Gli abitanti della città, per iniziare, sono circa 1,6 milioni: devono misurarsi con l’invasione di 34 milioni di turisti.
Alcuni quartieri della città, dalla Rambla alla Barceloneta, sono diventati invivibili. La movida non ha tregua, il caos è permanente, i servizi scoppiano, le persone non possono dormire, e i rumori si amplificano 24 ore su 24. Il miraggio di svoltare con il turismo ha creato nella capitale catalana una vera filiera di disagi: per esempio c’è stata l’esplosione degli affitti mordi-e-fuggi, e grazie alle continue locazioni su Airbnb, i prezzi degli affitti per i cittadini residenti sono volati, diventando insostenibili.
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DATI TURISMO A BARCELLONA
L’urbanistica della città continua a esser stravolta. La sindaca ha imposto un rallentamento della crescita degli alberghi, un primo passo di contenimento in una città dove finora se ne sono aperti 10-12 l’anno. Ancora: gli antichi caffè, come i vecchi negozi, anima commerciale di Barcellona, sono continuamente sradicati per fare posto a negozi di cianfrusaglie dell’abbigliamento, ai ristoranti che piazzano la paella congelata e la sangria annacquata.
Tutto questo ci deve fare riflettere. Di fronte ai flussi del turismo globale, alla sua micidiale capacità di mobilitazione, le nostre città, le nostre isole, i nostri luoghi del Bello, si dimostrano fragili. Molto fragili. E non tutto può essere immolato sull’altare di un’attività economica. Se il turismo deve significare la fine di un posto, la perdita della sua anima, allora tanto vale rinunciare. E non perdere l’autenticità delle nostre città.
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