Sicuramente avranno festeggiato a Milano, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che cancella la (parziale) cancellazione delle province e riapre il vaso di Pandora di una riforma sempre annunciata e mai fatta. Grazie ai giudici della Consulta, infatti, si potrà riaprire il capitolo della costruzione della nuova sede dell’amministrazione provinciale del capoluogo lombardo con un costo di 43 milioni di euro, più del triplo dei 12 previsti all’inizio, e consegna in calendario per l’anno 2015.
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La Corte Costituzionale ha salvato le Province in punta di diritto, considerando illegittimi gli interventi del governo Monti che, pur di dare una prospettiva al taglio di un ente giudicato inutile, aveva infilato la sforbiciata nel decreto salva-Italia e negli articoli della spending review. Tra qualche giorno conosceremo le motivazioni della decisione della Corte, ma a questo punto diventano poco importanti: quello che conta è l’impossibilità di tagliare le Province.
Eppure se ne parla dal 1970, quando furono introdotte le regioni, il dossier si apre e si chiude ogni volta che c’è un tavolo di esperti o di politici che trattano sulle riforme istituzionali, e non esiste un leader di partito che non abbia fatto una dichiarazione pubblica a favore dell’eliminazione delle amministrazioni provinciali.
Nulla, più di questa meteora del cambiamento impossibile, dimostra quanto sia difficile in Italia smontare qualsiasi crocevia di interessi politici, amministrativi, burocratici e clientelari.
TUTTU GLI SPRECHI DELLE PROVINCE: 13 MILIARDI DI EURO. Le Province, in perenne lista d’attesa per un funerale mai celebrato, costano 13 miliardi di euro, danno lavoro a 62mila dipendenti e distribuiscono, ogni anno, circa 135 milioni di euro di emolumenti e gettoni agli eletti nelle assemblee. Poi ci sono gli extra, e le spese pazze.
Nessuno ha potuto fermare gli amministratori provinciale di Bergamo decisi ad aprire una sede di rappresentanza a Roma: 73mila euro di affitto all’anno. Pazienza se i lavori di ristrutturazione degli uffici della provincia di Venezia, a palazzo Ca’ Corner sul Canal Grande, siano costati milioni di euro, compreso un lampadario di Murano da 7mila euro.
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E perché mai i consiglieri provinciali non dovrebbero partecipare, come i loro colleghi, alle varie fiere in giro per il mondo, ai gemellaggi che ti portano in vacanza a Rio de Janero o a New York, ai festeggiamenti oltre oceano di qualche santo patrono? In fondo, anche loro sono eletti dal popolo e in nome del popolo presentano conti e note spese per il turismo istituzionale.
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L’INUTILITA’ DELLE PROVINCE. Il punto, a parte i costi, riguarda l’inutilità delle Province. Le sue competenze, sempre più ridimensionate, potrebbero essere assorbite senza problemi dalle regioni e dai comuni, come il personale. Qualcuno dice: ma comunque bisognerà pagare i dipendenti riallocati in altre amministrazioni, e quindi i risparmi non sarebbero significativi.
Non è vero. Uno studio molto approfondito di Andrea Giuricin dell’Istituto Bruno Leoni dimostra come sistemando il personale delle Province in altri enti si potrebbero risparmiare 2 miliardi di euro. Sono i soldi che ci servono per non pagare l’Imu. E l’inutilità dell’ente si misura anche con la sua scarsa produttività.
SPRECHI DELLE PROVINCE, TRA RIUNIONI INUTILI E DISERTATE. Nel 2012 il Consiglio provinciale di Napoli, per esempio, si è riunito soltanto 7 volte (57 volte negli ultimi tre anni) e un consigliere su tre ha puntualmente disertato le sedute. I consiglieri, spesso politici navigati, sono i primi a rendersi conto della loro irrilevanza, e dunque risolvono il problema a monte, non andando a lavorare.
Tanto per dare un segnale di reazione, il governo Letta, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, ha deciso di riaprire il dossier dell’abolizione delle Province riportandolo nel binario di una legge di riforma costituzionale. E’ un percorso che, se tutto dovesse andare bene, non durerà meno di tre anni. Tempi biblici per un cambiamento così condiviso, almeno sulla carta.
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DIMINUIRE SPRECHI DELLE PROVINCE E DEL PARLAMENTO. Ma tempi che comunque spaventano gli amministratori provinciali, tanto che Antonio Saitta, presidente dell’Unione delle province italiane (Upi), già minaccia nuovi ricorsi. E poi, provocatoriamente, avanza una domanda: «Ma a proposito di costi da eliminare, il dimezzamento dei parlamentari quando si fa?».
Obiezione fondata, anche se puzza di chiamata di correità di un intero ceto politico, e risposta prevedibile: mai. Proprio come la cancellazione delle Province.
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