Questa volta si fa sul serio. Dopo tante parole, convegni, dibattiti, il governo ha deciso di riconoscere, concretamente, una particolare gratifica a insegnanti e scuole che hanno le carte in regola per meritarla. Per i docenti è prevista una mensilità aggiuntiva, e per gli istituti un contributo fino a 70mila euro: non sono spiccioli. Il progetto, firmato dal ministro Mariastella Gelmini, parte in via sperimentale in venti scuole di Napoli e Torino (per gli insegnanti) e nelle scuole medie di Pisa e Siracusa (per gli istituti), ma il perimetro ristretto del test non ne deve diminuire la portata. Innanzitutto si rompe un tabù: nell’universo dell’Istruzione, da sempre appiattito su bassi livelli retributivi e su baste paga che crescono solo sulla base degli scatti di anzianità, si materializza un principio in base al quale i più bravi possono guadagnare di più. Il merito non è più un concetto astratto, ma uno strumento reale di affermazione professionale. La scuola italiana, tra l’altro, continua a soffrire anche per un’idea sbagliata e corporativa dell’uguaglianza sul lavoro, che ha solo favorito gli incapaci e danneggiato i tanti bravi insegnanti. In secondo luogo tutti gli attori del sistema scolastico, compreso il sindacato, sono messi alla prova, e se il governo manterrà gli impegni finalmente la spesa pubblica in questo settore diventerà più razionale e più efficace. Non a caso il ministro ha annunciato che il progetto sarà finanziato con il 30 per cento dei risparmi ottenuti con i tagli alle spese inutili. A questo punto, sull’onda di una sorta di “caccia ai premi”, si potrebbe perfino instaurare, come avviene in tutti i paesi dove i sistemi scolastici funzionano, un virtuoso meccanismo competitivo tra istituti e sezioni. Infine il merito può essere gratificato soltanto se qualcuno è in grado di valutarlo con autorevolezza, indipendenza e rigore. E finora la scuola italiana ha sempre resistito a qualsiasi forma compiuta di valutazione, barricandosi dietro a mille alibi e riducendo l’Invalsi, l’istituto deputato a questa funzione, a una sorta di ente inutile. Poiché bisogna assegnare soldi veri, adesso servono dei criteri e il governo intende affidarsi al giudizio di ristrette commissioni esterne, con professionisti indipendenti e con parametri che non misureranno soltanto i livelli di apprendimento, in alcuni casi catastrofici, ma anche la percentuale degli abbandoni, il rapporto scuola-famiglia e la qualità nella gestione degli istituti. Insomma: un insegnante che potrà portare a casa una mensilità in più e una scuola che avrà un premio tale da modificare la struttura del suo bilancio, dovranno davvero meritarselo. E chissà che da un esperimento, in tempi ragionevoli, non si passi a un provvedimento che allarghi questa possibilità, non più virtuale, all’intero sistema scolastico: questa sì, sarebbe una rivoluzione.
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