L’insulto è uno spreco di parole che peggiorano la vita

Otto italiani su dieci utilizzano le ingiurie nel loro linguaggio quotidiano. Dicono che servono a difendersi, ma non sempre è vero. Piuttosto, guardiamoci allo specchio e rendiamoci conto che insultare peggiora la vita.

utilizzo dell'insulto

INSULTO

Non siete stufi degli insulti? Sono entrati prepotentemente nel nostro linguaggio quotidiano, e ne facciamo un larghissimo uso, come se fossimo incapaci, in caso di disappunto, di usare un qualsiasi altro linguaggio. Insultiamo per l’inconveniente o per qualcosa cosa che ha turbato i nostri programmi. Insultiamo nella convinzione che in questo modo diventiamo più forti e siamo più ascoltati. Insultiamo per debolezza, paura, mancanza di autostima, e incapacità di gestire le relazioni umane. In ogni caso, stiamo sprecando le parole e seminando pillole di veleno lungo il nostro percorso di vita.

UTILIZZO DELL’INSULTO

Abbiamo distrutto l’italiano, e questo è un fatto, piegando una lingua meravigliosa a un gergo di parolacce sommate. Abbiamo promosso l’ingiuria a mezzo di comunicazione: otto italiani su dieci la usano, magari per difendersi, si giustificano. In realtà non è sempre così: spesso il primo insulto, quello che apre poi la sequenza, parte da noi, dalla nostra bocca e dalla nostra totale mancanza di stile.

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USO DELL’INSULTO

Dentro questo spreco ci voglio mettere tutte le attenuanti del caso. La rabbia, talvolta giustificata, magari da un sopruso puro e semplice; l’indignazione, che è pur sempre un sentimento da non sottovalutare; il rigetto di persone che, mettiamola così, un insulto, un “vaffa” direbbe Beppe Grillo, pure se lo meritano.

Ma al netto delle attenuanti, resta quello che ha scritto il più grande linguista italiano, il professore Tullio De Mauro, in un testo intitolato Parole per ferire, preparato per la «Commissione sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio». Già, perché dall’insulto all’odio il passo è davvero brevissimo, questione di millimetri. Come dall’insulto all’incomunicabilità (da qui lo spreco di affetti, invece preziosi). O dall’insulto al rancore perenne.

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DIFFUSIONE DELL’INSULTO

Dice De Mauro: «Le parole, comprese quelle per ferire, non sono simboli astratti. Non ci servono solo a indicare cose e azioni, ma anche segnalano, magari senza che ce ne rendiamo conto, chi siamo noi che le adoperiamo e come ci collochiamo verso ciò di cui parliamo».

Ecco, dunque, una chiave per uscire da questa infernale trappola. Noi siamo le parole che pronunciamo: dunquebasterebbe un minimo di consapevolezza in più per renderci conto che l’insulto ci squalifica, ci rende peggiori, ci mette in cattiva luce innanzitutto con noi stessi. E magari neanche scalfisce il destinatario delle parole nate per ferire.

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