Il valore dell’obbedienza

Non è un gesto remissivo e passivo. Ma una prova di responsabilità e di libertà. Dalla quale nasce il dissenso

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Quando dobbiamo obbedire? E quale valore ha questo gesto? L’obbedienza è diventata una parola opaca, sia nelle relazioni personali (innanzitutto quelle familiari) sia nei rapporti all’interno della comunità. Non riconosciamo, con obbedienza, l’obbligo e il valore dei vaccini. Esattamente come, in famiglia, il padre non ha più lo status di un genitore al quale obbedire, ma si è trasformato in un amicone della domenica. E a scuola l’insegnante viene sbeffeggiato e talvolta anche insultato, dai familiari degli alunni, quei padri e quelle madri che invece dovrebbero imporre la dimensione dell’obbedienza. A scuola e in casa. Persino nella sfera religiosa, l’obbedienza, che per sua natura è un atto di fede, si è trasformata in un gesto relativo della nostra appartenenza a una comunità di fedeli. Obbediamo à la carte: se, come e quando ci va.

OBBEDIENZA

Eppure senza obbedienza non possono esserci relazioni solide e durature. Una comunità non può crescere. Un bambino, come un cittadino, non possono formarsi. Un uomo di fede non può vivere fino in fondo il suo rapporto con Dio. Obbedire, che mette in gioco il proprio corpo e la propria testa, è allo stesso tempo un valore, un comportamento e un gesto di fiducia. Non può assolutamente essere confuso con la remissione, il conformismo, l’opportunismo, la passività, la cieca disciplina. L’obbedienza è una scelta attiva, ha una sua elasticità e profondità, che può portarci anche al suo contrario: disobbedire.

DISOBBEDIRE

Obbedienza e disobbedienza non si escludono. Anzi. Innanzitutto ogni volta che obbediamo a qualcuno, stiamo disubbidendo ad altri. Nella religione, è l’esempio più facile da fare, la scelta è sempre tra Dio e il Diavolo, come insegna Gesù quando lo affronta testa a testa nel deserto. Ma anche nella vita civile, in politica per esempio, puoi disobbedire se hai le carte in regola, ed a quel punto è la voce della tua coscienza che parla e vuole essere ascoltata. E non l’opportunismo di chi non accetta una legge solo perché non gli fa comodo. Puoi contestare le tasse in quanto eccessive ed ingiuste, ma intanto le paghi. La libertà di obbedire, come gesto responsabile e pieno, è quella. che ci autorizza a disobbedire.

VALORE DELL’OBBEDIENZA

La storia di un ristoratore di Padova, Antonio Ferrari, che fa un lauto sconto alle famiglie con bambini e figli educati è diventata virale e ha molto colpito il popolo del web. Giustamente. La sensazione è che il tema della buona educazione, sebbene lentamente, stia riprendendo quota, come esigenza indispensabile per un migliore stile di vita e per migliori relazioni di comunità, non solo familiari. Molto bene, direi. Ma la buona educazione è un punto d’arrivo, spesso complesso e certamente legato a diversi fattori (anche sociali, ambientali, antropologici), tra i quali vorrei metterci la necessità di avere una bussola, non una lampada magica che purtroppo non è nella nostra disponibilità né di genitori né di cittadini, dentro la quale ci sia anche il punto cardinale dell’obbedienza. Obbedire per diventare educati, non per ossequio o per cedimento all’autoritarismo.

L’IMPORTANZA DELL’OBBEDIENZA

Obbedire torna ad essere una virtù. Nella fase di eclissi del lungo ciclo dell’io, quando per decenni abbiamo pensato di potere fare a meno del noi e di decidere tutto in prima persona, perfino le regole della morale, si riscopre il valore dell’obbedienza. La richiede un Papa molto energico, quando smonta, pezzo dopo pezzo, i centri di potere, disobbedienti, dell’infida curia romana. E d’altra parte la figura biblica più significativa in materia di obbedienza, lo ha ricordato lo stesso papa Francesco,  è Abramo, del quale si legge che «chiamato da Dio obbedì». Alla parola di Dio, Abramo non fa obiezioni, e non si comporta come Adamo che dopo avere mangiato il frutto offertogli da Eva «si nascose dal Signore Dio in mezzo agli alberi del giardino».

Serve obbedienza, nei partiti come nel governo. Senza disciplina, senza regole, e dunque senza l’obbedienza della minoranza di fronte alle posizioni della maggioranza, la politica si sfarina e diventa solo una lotta di potere senza esclusioni di colpi e con effetti autodistruttivi. Esattamente quanto è avvenuto nel centrosinistra italiano, dopo la liquidazione del Pci e le sue continue metamorfosi nominative, dove i gruppi dirigenti sono diventati dei cannibali. Pronti ciascuno a divorare l’avversario interno, lasciando così campo libero alle vittorie del centrodestra. E torna l’esigenza di una famiglia nella quale, senza autoritarismo ma con l’autorevolezza che spetta ai genitori e in particolare al padre, l’obbedienza sia una regola condivisa. E non l’oggetto di un negoziato quotidiano tra genitori e figli, con reciproci scambi. Ne ha scritto sull’argomento in un best seller che contiene preziosi consigli, Obbedire è meglio (edizioni Sonzogno), Costanza Miriano, che guida una comunità di quattro figli e allo stesso tempo svolge due lavori.

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OBBEDIENZA COME CAPACITÀ DI ASCOLTARE

L’obbedienza in Italia ha subìto diversi colpi mortali. Prima la retorica fascista (“credere, obbedire e combattere”) che l’ha trasformata in uno slogan farsesco, poi la retorica sessantottina, a partire da don Milani che definiva l’obbedienza «la più subdola delle tentazioni», e infine l’iperindividualismo dagli anni Ottanta in poi che ha cancellato l’obbedienza per fare spazio al dominio dell’io. E tra questi colpi c’è anche l’errore lessicale, prima che concettuale, sul significato stesso dell’obbedire. Che non significa essere vili, non avere la schiena dritta, cedere al trasformismo. Anzi. In latino l’atto dell’obbedire con coincide affatto con l’acquiescenza silenziosa e impaurita, ma piuttosto deriva dal verbo ab-audire. E significa la capacità di ascoltare, e distinguere ciò a cui bisogna prestare ascolto rispetto a quanto si decide di non ascoltare. Una scelta di sana umiltà, in tempi di narcisismo dilagante, ed efficace apertura verso l’altro, mentre siamo spesso circondato da autistici. Due cose, umiltà e apertura, di cui abbiamo molto bisogno.

OBBEDIENZA FRASI CELEBRI

  • <Impara ad obbedire prima di comandare> Solone

Il comando è un’arte, oltre che l’esercizio di un mestiere. E la disciplina ne rappresenta una
componente essenziale. Il saggio Solone aveva ben capito che se non riesci a obbedire, non puoi
neanche comandare. Ti manca la conoscenza di un meccanismo che ha aspetti persino psicologici.

  • <Laddove vi è un’effettiva capacità di obbedienza, cioè di ascolto e di responsabilità, soltanto in questa dimensione ci può essere libertà> Massimo Cacciari

L’obbedienza non è cieca, ma si muove sempre con gli occhi aperti, e implica la capacità di
rapportarsi con gli atri, e dunque ascoltare, e di essere responsabile. Come uomo e come
cittadino. Una volta riconosciuto il valore dell’obbedienza, si conquista, in modo automatico, la
libertà di esercitarla, anche nel suo verso contrario. La disobbedienza.

  • <Obbedire a natura in tutto è meglio> Francesco Petrarca

Ci voleva un grande poeta, nella sua sintesi, a scolpire in una sola frase tutte le nefandezze
ambientali con le quali oggi dobbiamo fare i conti. Petrarca non era un green, non andava in giro a
predicare la sostenibilità, non doveva fare i conti con l’emergenza climatica, ma una cosa, eterna
ed universale, gli era chiarissima: la natura vuole obbedienza. Alle sue regole, al suo equilibrio, alla
bellezza e alla vita che concede a tutti.

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