Che cosa è l’onestà? Prima della pratica, che interpretiamo in modo piuttosto elastico, siamo sicuri di conoscere la teoria, ovvero il significato a tutto tondo di una parola che non dovremmo mai sprecare? Già l’etimologia ci segnala un nesso tra “onestà” e “onore”, che non è certo una categoria economica o da inchiesta della magistratura.
L’honestus, scriveva con straordinaria sintesi Cicerone, è l’uomo degno di onore e anche dotato di buoni sentimenti (da non confondere con il buonismo che serpeggiava anche nell’età romana). E in inglese la traduzione di onesto è honest, cioè colui il quale dice la verità, un’altra parola non proprio facile da digerire e metabolizzare.
Per gli anglosassoni, americani e inglesi,
abilissimi disonesti quando si tratta di fare soldi in modo spregiudicato, la bugia di un politico nella vita pubblica e privata, è una colpa che non è perdonata, molto più di un reato penale. Il politico colto in flagranza di bugia, viene giudicato immediatamente come
dishonest (letteralmente: disonesto), come colui che non dice la verità, e dunque non è affidabile. Allo stesso modo, il contribuente infedele con le sue dichiarazioni impostate per non
pagare le tasse, rischia il carcere, anche a lunga scadenza, e l’isolamento sociale. Per il bugiardo non c’è scampo: una volta scoperto, è fuori gioco.
In Italia, sappiamo che avviene il contrario: l’evasore fiscale cronico, premesso che a nessuno piace pagare le tasse e tutti giustamente cercano di risparmiare visto che abbiamo una pressione fiscale tra le più alte del mondo occidentale, è quasi considerato un eroe, un modello, un tipetto da imitare. Un arcitaliano che ha mille motivi, tutti giustificati e condivisibili, per fare un bel marameo a quei concittadini (lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati) che invece le tasse le pagano regolarmente, in modo onesto, con onore per il senso di responsabilità dimostrato e praticato.
E non esiste alcuna forma di riprovazione sociale per i disonesti. Anzi. Per loro si spalancano tutte le porte e i portoni, specie quelle dei “salotti che contano” e al massimo può capitare che qualcuno si turi il naso, ma nessuno osa prendere le distanze dal disonesto cronico. Eppure, a proposito della dilagante disonestà nella sfera della politica dove in troppi confondono i mezzi con i fini, quel genio di Miguel de Cervantes nel suo Don Chisciotte, interprete e protagonista di utopie che sconfinano in una dissacrante follia, scriveva che l’onestà è la «migliore politica», nel senso più pieno della parola. E noi più che a tanti Don Chisciotte assomigliamo molto a Totò e Peppino, indimenticabili protagonisti del film La banda degli onesti, talmente siamo disonesti in modo sfacciato.
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La corruzione, e quindi l’eclissi dell’onestà, è diventata una delle grandi zavorre dell’Italia. E se guardate ad alcuni paesi del mondo, pensate a quasi tutte le nazioni del Sud America, vi potete rendere del fatto che, se non si riesce a ridurre questo male assoluto, anche i popoli che hanno a disposizione le più importanti ricchezze naturali, finiscono per affogare nella miseria. Quella che colpisce tutti, tranne quei ricchi portatori sani del virus della disonestà. La mancanza di onestà , piccola e grande, è tragicamente diventata un fattore comune che unisce molti settori della nostra comunità nazionale. Dove la capitale, Roma, ha visto diventare l’illegalità, a tutti i livelli, la sua attività economica più diffusa e florida.
Ma la mancanza di onestà, se davvero vogliamo provare a contrastarla o comunque a contenerla, restando con i piedi per terra e considerando l’attaccamento naturale dell’uomo al denaro, al potere, al successo, e all’idea di raggiungere questi obiettivi a qualsiasi prezzo, non possiamo scaricarla tutta sulle spalle degli altri.
Troppo comodo e facile indossare i panni delle anime belle, dei casti e puri che poi, magari, si dimostrano più disonesti dei corrotti. Forse, è il caso di affrontare questo gigantesco spreco partendo da uno specchio. Guardiamoci e domandiamoci, senza arroganza, senza presunte superiorità morali, una cosa semplice: “Nel mio stile di vita quotidiano, posso definirmi una persona onesta?“. E aggiungiamo: “Sono consapevole del fatto che un mondo dove il valore dell’onestà non è più riconosciuto, non potrà mai essere sostenibile?”. Stili di vita, sostenibilità e senso della comunità si intrecciano, e vi faccio tre esempi, tutti riferiti al “caso italiano”.
Primo esempio: i
120 miliardi all’anno sottratti al fisco, sotto forma di evasione nelle sue diverse e talvolta fantasiose declinazioni, e quindi allo Stato, sono soldi sfilati alla spesa pubblica in sanità, scuola e ricerca.
Tre perni dello sviluppo sostenibile. Allo stesso tempo l’Italia è diventato il quinto paese al mondo per pressione fiscale, con appena l’1 per cento dei contribuenti che dichiara un reddito superiore ai 100mila euro.
Un secondo esempio, entrando più diretti nell’ambito dei parametri che definiscono le condizioni ambientali di un Paese moderno: lo sfruttamento del territorio. Gli abusi edilizi in Italia sono circa tre al giorno, in media, e non venitemi a parlare dell’abusivismo “per necessità” (ammesso che sia in qualche modo giustificabile), qui siamo in presenza di un “abusivismo di massa”, di una “disonestà di massa”.
Terzo esempio: siamo il paese europeo con la più alta percentuale di spazzatura che finisce nelle discariche (40 per cento), luoghi dell’orrore che l’Europa ci chiede da anni, inutilmente, di chiudere. E allo stesso tempo siamo il paese dove si consuma un ecoreato ogni 18 minuti. A tante persone, e non si tratta solo di una ristretta minoranza di mascalzoni o di affiliati ai clan della malavita che della spazzatura illegale hanno fatto un’industria, la chiusura delle discariche semplicemente non conviene a tante persone. E queste persone, nel corso dei decenni e grazie all’impunità che spesso accompagna, mano nella mano, la disonestà, sono diventate troppe.
Parliamoci chiaro: in Italia la disonestà ha assunto le dimensioni di un devastante e capillare fenomeno di massa, come testimoniano i dati sull’abusivismo, i cui rivoli sono entrati dappertutto, fino a peggiorare in modo sostanziale il tessuto della nostra convivenza civile. Ma uno dei motivi per i quali la capacità di imbrogliare in Italia è ormai diventata un’abitudine, non è il funzionamento del nostro cervello, che tra l’altro è analogo a quello di qualsiasi altro cittadino del mondo, quanto la perdita di valore, di senso, di significato, della stessa parola, onestà, e del suo contrario, disonestà. Come se tra i due termini non ci fosse alcuna differenza radicale, ma piuttosto un’assonanza che fa sfumare qualsiasi confine. Dunque per risalire la china da questa deriva di popolo e di nazione, prima che dalla pratica, forse dovremmo partire dalla teoria, dalla riscoperta delle parole, del lessico, che formano i primi punti cardinali dell’onestà.
Nell’immagine di copertina, una scena tratta dal film La banda degli onesticon Totò e Peppino
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