Non è il primo, e purtroppo non sarà l’ultimo. Sebastian Galassi era un ragazzo di 26 anni, morto in un incidente stradale a Firenze. E licenziato poche ore prima da Glovo, a sua insaputa, in quanto non aveva fatto una consegna nei tempi previsti, sulla base di calcoli fatti da un algoritmo. Sebastian lavorava con uno stipendio molto basso, 600 euro al mese, per pagarsi gli studi, e faceva parte di un esercito di giovani che vivono questo mestiere in condizioni ancora assurde. Spesso senza un regolare contratto e senza una regolare assunzione, nonostante il chiarimento della Commissione europea che ha classificato l’attività dei rider come <lavoro dipendente>.
Indice degli argomenti
PERCHÉ BISOGNA ASSUMERE I RIDER
I rider vanno assunti non solo per un motivo di giustizia sociale e di equità rispetto ad altre categorie di lavoratori. E per impedire che le opportunità offerte dalla tecnologia portino finalmente un benessere più diffuso, anche verso chi lavora in queste imprese divenute nello spazio di un mattino aziende con valutazioni miliardarie. I rider vanno assunti anche nell’interesse delle stesse società del settore: significa normalizzare la loro attività, renderla più competitiva (non attraverso l’uso distorto della variabile del costo del lavoro) con un allineamento del quadro dei diritti e dei doveri dei lavoratori.
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RIDER DA ASSUMER COME DIPENDENTI
Già prima che la Commissione europea si svegliasse, alcuni paesi europei, parliamo di Francia, Germania e Spagna, hanno reso obbligatoria l’assunzione dei fattorini. Il Italia, come avviene spesso di fronte all’impotenza e ai silenzi della politica, ci ha pensato la magistratura a esercitare una forma di supplenza. A Milano il procuratore capo Francesco Greco, da sempre molto attento sulle tematiche economiche e finanziarie, ha chiesto l’assunzione per 60.511 rider con un contratto in grado di garantire le normali tutele spettanti ai lavoratori. E lo ha fatto mentre a Londra si preparava lo sbarco in Borsa di un colosso mondiale della consegna del cibo a domicilio, Deliveroo: la società, che durante la pandemia ha visto aumentare i ricavi del 54 per cento, è stata valutata circa 10 miliardi di euro.
SFRUTTAMENTO DEI RIDER
Il business della consegna del cibo a domicilio sia in piena espansione e dall’altro versante non siamo ancora usciti dalla terra del Far west, da un gigantesco spreco, per chi lavora al suo interno. Esiste un punto di equilibrio tra l’esplosiva crescita dei ricavi delle società e le condizioni di tutela dei rider? Oppure bisogna rassegnarsi all’idea che questo comparto può fare profitti, e tanti, soltanto con un costo del lavoro ridotto ai minimi, al confine di una nuova forma di schiavitù?
REGOLAMENTAZIONE DEI RIDER IN ITALIA
Non sono in pochi, specie nell’universo dei cervelloni bocconiani a fare il seguente ragionamento: il business del delivery non è ancora evoluto al punto tale da consentire regolari assunzioni come gradirebbe il procuratore della Repubblica di Milano, con la magistratura che ancora una volta svolge un ruolo di supplenza rispetto a decisioni che spetterebbero innanzitutto alla politica.
Ho seri dubbi sulla fondatezza di questa teoria. Per due motivi. La consegna del cibo a domicilio vale, in Italia, circa 3,2 miliardi di euro di fatturato, e la cifra comprende sia le piattaforme digitali sia ristoranti, pizzerie e bar che, specie in tempi di lockdown, fanno consegne a domicilio. La crescita, come abbiamo visto anche dai dati di Deliveroo, è attorno al 50 per cento all’anno. I dipendenti in Italia hanno raggiunto quota 20mila unità. Lavorano in condizioni, secondo i risultati di un’indagine dei Carabinieri di Milano dalla quale è partita l’inchiesta di Greco, di vero e proprio caporalato: e finora alle società deldelivery sono state notificate in Italia multe, per la sicurezza dei rider, per 773 milioni di euro.
TUTELA DEI RIDER
È vero: molte di queste società (parliamo di colossi come Glovo, Uber Eats, Just Eat) non fanno ancora profitti, e la stessa Deliveroo è ancora in perdita. Ma questa che cosa significa? A distanza di anni dall’inizio dell’attività del delivery il rischio di impresa deve ricadere sempre e solo sulle spalle dei lavoratori? Anche grandi nomi della Silicon Valley, come Tesla e Zoom, non sono ancora entrati nell’area del conto economico con il segno positivo, ma non per questo non pagano adeguatamente i loro lavoratori. E la stessa cosa possiamo dire a proposito di Amazon.
Il secondo motivo per il quale le obiezioni che vorrebbero classificare l’attività del comparto del delivery sostenibile solo al prezzo di un lavoro dequalificato e sottopagato è un precedente che dovrebbe fare scuola. Just Eat, che fa parte del gruppo dei grandi player del settore, ha assunto i suoi 6 mila rider, inquadrandoli come lavoratori subordinati nel settore della logistica, ha assicurato loro una paga oraria di 7,50 euro più incentivi. E ha previsto le normali tutele che vanno dall’assicurazione alla malattia, dal Tfr alla tredicesima e alle ferie. Non credo che Just Eat sia entrata nell’ordine dei francescani e se il suo conto economico è in ordine anche in presenza di un corretto inquadramento dei lavoratori, non si capisce il motivo per il quale la cosa non dovrebbe valere per tutte le aziende (e i rider) del settore. E’ chiaro che dal momento dell’assunzione è iniziata un’altra storia d’azienda, e a Just Eat sono arrivati i sindacati, le assemblee dei lavoratori, le proteste dei lavoratori per le condizioni generali dei viaggi. Dove sta lo scandalo? Forse qualcuno spera che l’Italia debba fare come la Svizzera, dove il lavoro dei fattorini viene pagato a minuto e azzerato se la consegna non avviene nel tempo assegnato da un algoritmo.
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REGOLAMENTAZIONE DEI DIRITTI DEI RIDER
Certamente ci sarà bisogno di gradualità per stabilizzare i diritti dei rider, è possibile anche immaginare, come in tanti comparti produttivi, forme più flessibili e diversificate di accordi contrattuali. E bisognerà dare tempo alle aziende di arrivare ai volumi necessari per essere profittevoli e di allargare la sfera dei servizi offerti a pagamento. Per esempio: chi chiede una cena di cucina cinese e ha voglia di pagare, può anche aggiungere un prezzo extra per avere a casa uno chef che dia qualche lezione di cucina orientale. Diamo tempo, quindi al delivery per diventare sempre più sostenibile.
VITA DA RIDER
Ma una cosa deve essere chiara, e da subito. Il lavoro dei rider, che intanto in Europa sono passati dalle 695mila unità del 2018 a 1,5 milioni del 2021, va riconosciuto in quanto tale e non come “lavoretto”. La differenza non è solo semantica. Il lavoro ha una sua dignità, oltre che una sua fatica, e va tutelato comunque. Il “lavoretto”, diventato una prassi collettiva come nel caso del delivery, altro non è che una forma di precariato e di sfruttamento inaccettabile. A meno che non vogliamo fare come in Cina, dove la logica del profitto schiaccia quasi sempre i diritti dei lavoratori, e dove sono gli algoritmi, a proposito di tecnologia e di sviluppo del settore, a decidere i compensi nel delivery.
Ossia un procedimento sistematico di calcolo che ha il compito di programmare le consegne in nome dell’ottimizzazione dei profitti. E come fa una piattaforma per la consegna a domicilio del cibo a guadagnare di più? Fa consegne più veloci per realizzarne un numero maggiore. Non può quindi sorprendere che in Cina nel 2019 il tempo medio di consegna dei pasti pronti è diminuito di dieci minuti rispetto a tre anni prima.
Il sistema è pensato apposta per autoalimentarsi: per le due principali aziende cinesi del settore, Ele.me e la Meituan, il tempo di consegna è il fattore più importante. Arrivare in ritardo non è permesso e, se succede, il rider riceve una valutazione negativa e un salario più basso. Motivo per il quale i lavoratori tendono a sbrigarsi sempre di più, passare con il rosso, andare contromano, e più si sbrigano e più l’algoritmo, che si basa sui tempi di consegna medi, taglia i tempi di consegna. Rendendo i rider “carnefici” di se stessi.
DIFFICOLTÀ DEL LAVORO DEI RIDER
Gli algoritmi cinesi, pensati da ingeneri che non hanno nessuna esperienza sul campo quando si parla di consegne, sono tarati su condizioni ottimali e non si curano minimamente del codice della strada o di eventuali contrattempi come potrebbe essere l’accesso ad un ascensore in un grattacelo all’ora di punta. Per questa ragione i rider sono costretti a sfidare il traffico con un inevitabile aumento dei rischi. Basti pensare che, ad esempio, i dati del dipartimento di polizia stradale di Shanghai mostrano che nella prima metà del 2018 in media ogni due giorni e mezzo un rider ha un incidente, a volte mortale.
Oltre agli evidenti rischi fisici, le piattaforme cinesi sfruttano anche le dinamiche psicologiche dei lavoratori. L’algoritmo, infatti, valuta i rider assegnandogli un punteggio. Per guadagnare punti deve consegnare tanti ordini, con un alto tasso di puntualità, e con ottime recensioni. Una volta raggiunto un certo livello si passa al successivo come se ci si trovasse in un videogioco. Ovviamente un livello più alto significa compensi più alti. Il metro dell’algoritmo è tarato sulle prestazioni dei rider, quindi alla fine si trovano a competere uno contro l’altro, in una dinamica che può creare facilmente dipendenza e alienazione.
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