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VUOTO A RENDERE
Torna il vuoto a rendere ed è un’ottima notizia. Sempre che non diventi una tassa troppo gravosa sulle spalle delle aziende, che in questo caso remerebbero contro, e un meccanismo troppo complicato per i consumatori. Non bisogna sprecare un’abitudine che in Italia avevamo già mezzo secolo fa, e poi abbiamo perso, né bisogna considerarla come un’alternativa al corretto smaltimento. Le due cose si integrano: il vuoto a rendere, come vedremo, significa riuso; la differenziata è l’indispensabile premessa al riciclo. Entrambe le soluzioni vanno nella stessa direzione che abbiamo sempre auspicato: ridurre i rifiuti, specie quelli che sono a più alto rischio inquinamento.
CHE COS’È IL VUOTO A RENDERE
Il vuoto a rendere significa che un contenitore, una volta consumato ciò che si beve e dunque svuotato, viene restituito al fornitore. Bottiglie di plastica (molto utilizzate per l’acqua minerale), lattine di vetro e alluminio, bottiglie di vetro (buona parte delle bibite zuccherine), fiaschi: tutto può diventare un vuoto a rendere. Mentre il vuoto a perdere viene gettato, e se non smaltito correttamente diventa un rifiuto che danneggia l’ambiente, il vuoto a perdere è riutilizzato per diverse volte. Almeno quaranta per le bottiglie in vetro, venti per quelle in PET. Tutto ciò si traduce anche in un risparmio energetico: il riuso di una bottiglia in PET per venti volte significa un minore consumo del 76 per cento di energia per produrla nelle diverse versioni.
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COME FUNZIONA IL VUOTO A RENDERE
Il meccanismo del vuoto a rendere è molto semplice: il cliente acquista una bibita, per esempio, e paga una cauzione di alcuni centesimi. Quando è svuotata, la riporta al venditore, che gli restituisce la cauzione, talvolta con un piccolo “premio” di alcuni centesimi. Per incentivare l’uso del meccanismo del vuoto a rendere, in alcuni paesi la cauzione è molto alta. È il caso dell’Olanda: si pagano 25 centesimi di cauzione per una bottiglietta di acqua minerale (praticamente la metà del prezzo sul mercato) e si perdono se non si restituisce.
I VANTAGGI DEL VUOTO A RENDERE
Per quale motivo siamo così favorevoli al vuoto a rendere? Per gli evidenti vantaggi che comporta. Almeno tre. Innanzitutto, il riuso riduce automaticamente i rifiuti, e anche in proporzioni significative. In Germania, dove il vuoto a perdere è molto popolare ed esistono anche i distributori per depositarlo e ritirare i soldi, l’ammontare dei rifiuti si è ridotto del 96 per cento nel caso del vetro e dell’80 per cento per quanto riguarda la plastica. Secondo vantaggio: il vuoto a rendere è un piccolo motore propulsivo dell’economia circolare, potrebbe esserne un simbolo. Significa consumare meno materie prime, meno energia, meno acqua. E allo stesso tempo rappresenta un incentivo al cambio di paradigma nell’uso di materiali. Nei paesi del Nord Europa, come la Danimarca e la Norvegia, il vuoto a rendere è obbligatorio per diverse categorie di contenitori e rappresenta oltre il 70 per cento del mercato dei contenitori di bevande. Infine, il riciclo, dopo una corretta differenziata, è sicuramente utile e importante, ma con il riuso c’è un vantaggio che arriva prima: si producono meno rifiuti, e si riducono così in proporzione i problemi per lo smaltimento.
VUOTO A RENDERE IN GERMANIA
Il paese con i migliori risultati del sistema del vuoto a rendere, come abbiamo detto, è la Germania. Qui si tratta di un vero e proprio stile di vita, e la cauzione che viene pagata al momento dell’acquisto e restituita alla riconsegna della bottiglia, varia da 8 a 25 centesimi. Ma la cosa più importante è che per incentivare l’uso del vuoto a rendere e convincere i consumatori ad applicarlo sempre, in Germania, dal 2006, tutti i rivenditori di bibite hanno l’obbligo di riconoscerlo. In pratica: la cauzione ti viene restituita non solo nel negozio dove hai comprato la bottiglia, ma in qualsiasi altro punto vendita.
VUOTO A RENDERE IN ITALIA
In Italia il vuoto a rendere ha avuto stagioni altalenanti. Fino agli Ottanta eravamo tra i primi in Europa in questa pratica, molto diffusa anche nei piccoli centri dove il meccanismo di riuso diventa più semplice. Poi sciagurate politiche ambientali hanno messo in soffitta il meccanismo del vuoto a rendere, resuscitato in modo caotico, disordinato e poco incentivante nel 2017 dall’improbabile ministro Gian Luca Galletti. Adesso si torna all’antico, ma auguriamoci senza sprechi e seguendo bene il modello tedesco, senza farsi intimorire dalla lobby della plastica che rema contro il vuoto a rendere per i suoi interessi di settore. Tra l’altro il meccanismo del vuoto a rendere, in termini di politiche per lo Sviluppo sostenibile, si integra perfettamente con la legge, europea e nazionale, che elimina l’uso di piatti, posate, bastoncini cotonati e bicchieri in plastica. Gli imprenditori hanno qualche comprensibile perplessità sui costi complessivi dell’operazione: serviranno investimenti (con incentivi pubblici) nella logistica per consentire una buona mobilità dei vuoti a rendere ritirati e da mettere nuovamente in produzione con il riuso. I commercianti, in particolare le catene della grande distribuzione, sono invece preoccupati dei costi di stoccaggio dei vuoti a rendere. Chi paga il conto? E a quanto ammonta, visto che bisogna garantire le migliori condizioni igieniche per la conservazione dei vuoti resi? Le perplessità sono comprensibili e da valutare. Ma un paese che dichiara apertamente di avere imboccato la strada della Transizione ecologica (abbiamo anche un ministro con questo nome) non può fermarsi alla prima difficoltà. E deve guardare alle buone pratiche, come quella della Germania, dove sono riusciti, anche grazie ai vuoti a rendere, a ridurre sprechi, inquinamento e rifiuti. Un risultato che anche l’Italia può e deve raggiungere.
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