Incassano sempre più soldi e pagano sempre meno tasse. Con uno spreco enorme per i paesi, come l’Italia, che restano a bocca asciutta in quanto a entrate fiscali dai colossi del web. Mentre la politica sembra arrendersi a questo strapotere, che dalla tecnologia si allunga fino agli stila di vita quotidiani, lor signori, Apple, Amazon, Microsoft, Google e Facebook, ma la lista continua ad allungarsi, riescono a diventare più ricchi, aumentando i ricavi e diminuendo le imposte versate sugli utili.
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PERCHÈ I GIGANTI DEL WEB NON PAGANO LE TASSE
I giganti del web riescono a non pagare le tasse grazie a uno spregiudicato meccanismo che fa girare i soldi, fino a portarli nei paesi che hanno un’imposizione fiscale molto bassa. E non c’è bisogno di andare nei famosi paradisi fiscali: basta anche soltanto fermarsi in Olanda. L’importante è evadere, nei fatti, quello che andrebbe pagato in Italia. L’ultima società della lista degli evasori delle Big company del web è Airbnb: su mandato della procura della repubblica di Milano sono stati sequestrati 779 milioni di euro per una totale evasione della cedolare secca.
QUANTO PAGANO DI TASSE I GIGANTI DEL WEB
Gli ultimi dati risalgono ai bilanci del 2021, e danno un’idea molto chiara dello squilibrio fiscale che nessuna azienda italiana, grande o piccola che sia, potrebbe permettersi. Il fatturato delle Big Five del web in Italia è pari a 8,3 miliardi di euro, con utili altissimi. A fronte di questi ricavi le tasse pagate al fisco italiano sono di appena 150 milioni di euro. E alle Big Five bisogna aggiungere altre grandi società del web, come nel caso di Booking.com che sono al centro di indagini anche per evasione di Iva non versata.
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TASSE NON VERSATE DAI GIGANTI WEB ITALIA
Secondo uno studio di Mediobanca, soltanto nel triennio 2019-2021 le più importanti multinazionali dell’high-tech sono riuscite a non pagare in Italia tasse dovute per 36,3 miliardi di euro. Il valore pari a diverse manovre finanziarie.
Ma come fanno ad aggirare le maglie del fisco italiano? Semplice: grazie allo spostamento del fatturato delle controllate italiane in Paesi dove le aliquote fiscali sono basse, riescono a versare solo una minima parte di quello che sarebbe legittimo pretendere.
Nello specifico, dal report di Mediobanca, che ha preso in esame 15 colossi mondiali del web e del software con una filiale nel nostro Paese. Emerge che nel 2019 Amazon ha pagato in Italia tasse per 6 milioni, Microsoft per 16,5 milioni, Google per 4,7 milioni, Oracle per 3,2 milioni, Facebook per 1,7 milioni,. E ancora: Uber ha versato al fisco italiano 153 mila euro e Alibaba 20 mila euro.
WEB TAX
I giganti del web continuano a sfruttare in loro favore la lacuna legislativa che gli consente di risparmiare sulle tasse spostando il fatturato in altri Paesi. Una pratica che ogni tanto lo Stato italiano cerca di disincentivare a suon di multe ma, allo stato attuale, questi colossi preferiscono pagare centinaia di milioni di transizioni ogni tanto piuttosto che fatturare nel nostro Paese il giro d’affari riferibile all’Italia. Ragione per la quale diventa sempre più urgente l’introduzione di una Web tax che costringa queste società alle loro responsabilità fiscali. Ma sono solo parole. Nei fatti la politica è impotente e non intende “disturbare i manovratori”, i giganti del web sempre più padroni del mondo.
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BOOKING.COM EVASIONE IVA
Un altro caso clamoroso di tasse non pagate e di sprechi per le casse dello Stato italiano riguarda Booking.com. La sua è una posizione dominante in Italia e in Europa, con commissioni molto alte per l’utente finale (tra il 10 e il 15 per cento): il 67 per cento delle vendite di alberghi, bed and breakfast e case vacanze, avvengono attraverso la piattaforma di Booking.com. Il fatturato è attorno ai 700 milioni di euro. E quanto paga di tasse Booking.com in Italia? Zero. Il colosso americano, in versione europea, ha sede ad Amsterdam, dove beneficia del sistema fiscale olandese. Ovvero nessuna tassazione su utili e plusvalenze. Ma non basta. Booking.com è anche al centro di un’importante indagine per evasione di pagamenti relativi all’Iva. L’accusa è nelle mani della Procura di Genova che finora ha accertato omessi versamenti di 153 milioni di euro, soltanto per il periodo tra il 2013 e il 2019. Se i risultati dell’indagine dovessero essere confermati da una sentenza, l’evasione dell’Iva da parte di Bookimg.com in Italia sarebbe accertata in via definitiva. E finalmente i signori della multinazionale del turismo online inizierebbero a pagare qualche tributo anche in Italia.
AIRBNB NON PAGA LA CEDOLARE SECCA
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